Senza peli sulla lingua

Il corso, infatti, è nato per insegnare alle partecipanti a creare nuove possibilità di reddito attraverso alcune tecniche per reinventarsi nel mondo del lavoro (serigrafia, stencil, ricamo), ma – proprio come le “150 ore” di via Gabbro – è stato molto di più.

“Abbiamo voluto mettere in relazione il lavoro di cura, il lavoro e il non lavoro: da qui è partito un flusso di autocoscienza e da questa esperienza condivisa sono nate le frasi ironiche diventate le grafiche di questa collezione”, ci spiega Maddalena Fragnito di Landscape Choreography.

Proprio l’ironia – racconta Maddalena – è stata una chiave fondamentale di condivisione, che ha permesso a questo gruppo di donne di sentirsi per qualche ora leggere, libere dalla dura realtà del “quadrilatero”, una periferia sorta durante il fascismo e mai stata oggetto di riqualificazioni urbane, dove tante famiglie di immigrati vivono occupando case popolari abbandonate.

La mattina gli uomini spariscono nei campi o in fabbrica e la vera anima del quartiere sono le loro mogli, che hanno molti figli ma nessuna rete familiare e fanno fatica a trovare lavoro, spesso a causa del razzismo. Tra la ricerca di un impiego e i bambini durante il giorno e il compito di occuparsi dei mariti la sera, le donne del “quadrilatero” non hanno molto tempo per dedicarsi a se stesse.

 

 

 

Il corso, infatti, è nato per insegnare alle partecipanti a creare nuove possibilità di reddito attraverso alcune tecniche per reinventarsi nel mondo del lavoro (serigrafia, stencil, ricamo), ma – proprio come le “150 ore” di via Gabbro – è stato molto di più.

“Abbiamo voluto mettere in relazione il lavoro di cura, il lavoro e il non lavoro: da qui è partito un flusso di autocoscienza e da questa esperienza condivisa sono nate le frasi ironiche diventate le grafiche di questa collezione”, ci spiega Maddalena Fragnito di Landscape Choreography.

Proprio l’ironia – racconta Maddalena – è stata una chiave fondamentale di condivisione, che ha permesso a questo gruppo di donne di sentirsi per qualche ora leggere, libere dalla dura realtà del “quadrilatero”, una periferia sorta durante il fascismo e mai stata oggetto di riqualificazioni urbane, dove tante famiglie di immigrati vivono occupando case popolari abbandonate.

La mattina gli uomini spariscono nei campi o in fabbrica e la vera anima del quartiere sono le loro mogli, che hanno molti figli ma nessuna rete familiare e fanno fatica a trovare lavoro, spesso a causa del razzismo. Tra la ricerca di un impiego e i bambini durante il giorno e il compito di occuparsi dei mariti la sera, le donne del “quadrilatero” non hanno molto tempo per dedicarsi a se stesse.

 

 

Per Niroshini, Hutpala, Howaida, Nadia, Noura e le altre 20 donne coinvolte, Radical Soundscape è una “stanza tutta per sé”, dove scoprirsi, ritrovarsi, intessere relazioni e per una volta sentirsi individue e non persone in difficoltà che hanno bisogno di essere aiutate. “Le protagoniste di questo progetto – sottolinea Maddalena – sono state loro: non c’era assistenzialismo, non c’era un noi e un voi, ma una dimensione di scambio orizzontale”.

Da queste connessioni nasce una riflessione che allarga lo sguardo verso tutta la comunità, partendo dal “lavoro di cura come spazio dove ripensare la produzione e la riproduzione sociale“, tema al centro del dibattito che aprirà la due giorni di incontri venerdì 22 settembre e a cui parteciperà anche Lea Melandri, testimone della esperienza femminista delle “150 ore”.

Perché il lavoro di cura che grava da sempre sulle spalle delle donne, come ci spiega Maddalena, è un sapere che parte dall’idea di prendersi cura del prossimo e “può essere la base per costruire un nuovo modello di comunità, alternativo a quello razzista, classista e individualista in cui viviamo oggi”.

 

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